venerdì 27 ottobre 2017

The Battleship island - Hashima, l'isola infernale


"The Battleship Island" 


E' un nuovo film di Ryoo Seung-Wan ambientato nell'epoca della seconda guerra mondiale, tratto da un fatto storico realmente accaduto, che in questi ultimi anni ha risuonato e irritato il popolo coreano.







Nome:
Hashima (하시마-端島) è un'isola di origine vulcanica, fa parte dell'arcipelago del Giappone ed è compresa tra 505 isole disabitate della Prefettura di Nagasaki, a circa un'ora di navigazione dal capoluogo. E' nota anche come Gunkanjima (군함도-軍艦島) che significa "isola della nave da guerra", in inglese "battleship island", per la somiglianza della sua forma di nave corazzata. Alcuni coreani l'hanno soprannominata 지옥섬 (Jiokseom) che significa "L'isola infernale".





Storia:
Per la presenza di giacimento di carbone, già nel 1810, l'isola faceva gola ai giapponesi, ma fu colonizzata solo nel 1887 e diventò di proprietà della Mitsubishi Corporation, che ampliò la miniera con l'intento di ricavare enormi risorse. Negli anni successivi ebbe inizio un intensivo sfruttamento del giacimento minerario da parte della Mitsubishi, che portò un incremento della popolazione, incluse abitazioni per i lavoratori che erano sempre più numerosi. Nel 1890, l'azienda finanziò un grande progetto che prevedeva un ampliamento artificiale della superficie dell'isola e degli edifici realizzati in cemento armato: centinaia di appartamenti, scuole, ospedali, palestre, cinema, bar e ristoranti. Si creò subito una divisione in caste: minatori non sposati che venivano separati da quelli sposati, da quelli con famiglie, e a loro volta separati dai dirigenti della Mitsubishi. Con l'arrivo della seconda guerra mondiale, i giapponesi trasformarono l’isola in un campo di lavoro per i prigionieri cinesi e coreani, che venivano obbligati a lavorare al posto dei giapponesi (occupati a combattere al fronte) a occuparsi dell'estrazione di risorse minerarie. Inoltre, secondo alcuni rapporti, fu silurata dalla marina militare statunitense, probabilmente ingannata dalla forma dell'isola che ricorda quella di una nave corazzata. Nel 1959, ripristinati i danni dei bombardamenti, i lavoratori giapponesi, fecero ritorno alla miniera della Mitsubishi e in poco tempo arrivò a contare un'altissima densità di popolazione (1.391 abitanti per chilometro quadrato), ma visto che l’isola è lunga solo 400 metri, le condizioni di vita calarono in fretta. Alla fine degli anni sessanta l'interesse passò presto dal carbone al petrolio, la nuova fonte di energia, e nel 1973 le estrazioni cessarono del tutto. Il 15 gennaio del 1974 la Mitsubishi Corporation decise di chiudere lo stabilimento minerario definitivamente, offrendo nuove opportunità lavorative altrove e venne completamente abbandonata dopo pochi mesi. L'isola è diventata uno dei più grandi e significativi esempi di archeologia industriale del Giappone. Dopo trentacinque anni di completo abbandono, nel 2009 parte dell'isola è divenuta nuovamente accessibile e tutt'ora è diventata una meta turistica. Dal 2015 è diventata a far parte dei ventitré siti storici industriali inseriti tra i patrimoni dell'umanità dall'UNESCO.




Cosa ne pensano i coreani

Purtroppo, ci sono pochissimi documenti rilasciati dal Giappone sull'accaduto. Spesso si preferisce restare in silenzio d'avanti a certi avvenimenti storici che mettono in cattiva luce il proprio paese.
Ho trovato un video coreano, molto interessante che ci descrive molto bene l'accaduto.
VIDEO:
*Visto che la parte storica l'abbiamo già presa in considerazione sopra, cercherò di riportare la parte rilevante al pensiero coreano e alla situazione dell'UNESCO

Dal 1943 al 1945, vennero deportati sull'isola circa 800 coreani, inclusi alcuni cinesi, e obbligati a lavori forzati. In miniera, più si scendeva in profondità e più il carbone era di alta qualità. Essa, arrivò alla profondità di oltre 1.000 metri. Inizialmente, con una profonda pendenza di 60 gradi, per non scivolare, i minatori si legavano l'un l'altro e dovevano stare attenti a mantenere la postura per non rischiare la propria vita e quella degli altri. Per le zone più piccole mobilitavano anche i ragazzi più giovani. Essendo una cava circondata dal mare, erano esposti continuamente a gocce d'acqua che con il tempo corrodevano la pelle. In una pendenza molto più in basso, di 40 gradi, la miniera presentava molto gas, diventando un posto a rischio esplosione. I morti aumentarono. Facevano ininterrottamente 2 turni lavorativi di 12 ore, avvolte di 8 ore e altre di 16, senza pause; se volevi riposare venivi punito dalle guardie giapponesi. Il cibo a disposizione era pochissimo, venivano date loro due palline di riso mischiate con scarti di grano e residui di olio di soia.
Ma non potevano scappare? Essendo un' isola, l'unico modo per scappare era a nuoto, verso la terra ferma. Il problema era arrivare, attraversare le acque turbolente del Mar Cinese Orientale, per poi ritrovarsi in Giappone e cercare in tutti i modi di non farsi acchiappare dalle guardie, perché a loro era concesso di ucciderli sul posto o torturarli fino alla morte. Vicino alle sponde di Nagasaki, è presente tutt'ora una lapide dedicata ai coreani morti per annegamento.
Alla fine della seconda guerra mondiale, il 9 agosto 1945, fu sganciata la bomba atomica su Nagasaki; i minatori sull'isola avevano pensato inizialmente che fosse un forte terremoto, ma non era così. Anche se i lavori si fermarono, le persone in quell'isola non furono munite di attrezzature protettive e la maggior parte morirono per esposizione alle radiazioni.
Nel 2002, non appartenne più alla Mitsubishi Corporation e venne successivamente conurbata in Nagasaki. Nel 2009 fu abolito il divieto d'accesso diventando una nuova fonte di sviluppo turistico.
Nel 2015, fatta la richiesta all'UNESCO per renderla un patrimonio nazionale industriale del Giappone, i coreani cercano di farla revocare, ma venne bloccata.
L'UNESCO accettata la richiesta del Giappone, ma con 3 condizioni fondamentali:
  1. Dover raccontare l'intero periodo storico di Hashima (Gunkanjima).
  2. Dichiarare che nella sua storia ci sono stati lavori forzati.
  3. Mantenere la promessa con impegno di presentare all' UNESCO entro dicembre 2017 riguardo l'andamento della dichiarazione.

L'ambasciata giapponese ha dichiarato:
"Si sono mobilitati contro la nostra richiesta numerosi coreani e persone di altre nazioni su alcune strutture degli anni '40. Provvederemo ad adottare misure in modo che si possa capire la verità sulle azioni disciplinari applicate dal governo giapponese, durante la seconda guerra mondiale e sui lavori forzati in severe condizioni."

L'ultima fase del video, personalmente mi ha toccato molto:
"Essi mostrano solo quello che vogliono mostrare, dando un'idea sbagliata della storia. Voglio essere orgoglioso, voglio ricordare non solo l'aspetto della modernizzazione, ma anche l'aspetto della violenza subita. Bisogna ricordare la storia, essa è il valore universale dell'umanità."
Detto questo, il video si concluse qui.


 
*Voglio tornare a casa; Ho fame; Mamma mi manchi.





Cosa c'entra con il film?
Purtroppo ci sono poche tracce di questo lato della storia, ma il film si concentra nel rendere più verosimile l'ambientazione, la sofferenza delle persone e il desiderio che avevano nel voler tornare a casa.
Credo che uno dei modi che la Corea (del Sud) conosce e sfrutta per far sentire la propria voce, sia proprio quella del cinema. Grazie a questo film, vogliono cercare di non far insabbiare la storia, e renderla più vicina a noi.


Qui il trailer del film:






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